L'iniziazione alla musica nell'opera didattica di Dario Buccino
Le composizioni o, per utilizzare un termine più appropriato, i modelli d'azione che abbiamo adesso in parte sperimentato[1], sono destinati espressamente, così dice il sottotitolo, agli allievi delle scuole elementari e insegnanti non musicisti. Si tratta dunque del problema dell'iniziazione alla musica. L'iniziazione non esiste veramente, come non esiste l'inizio. Mi riferisco all'inizio della [Scienza della] logica di Hegel, dove spiega che ogni immediatezza è già mediata in sé e dunque l'inizio non c'è. Per questo non esiste una prima filosofia, e non esiste neanche una prima iniziazione alla musica. Ciascuno è già iniziato quando comincia, o non comincia, a essere iniziato. Una volta, prima di ogni iniziazione alla musica, esisteva una cultura musicale. Cultura musicale: esistendo, diciamo, piuttosto culture musicali, civiltà musicali, la socializzazione musicale era evidentemente molto diversa nella Cina o nell'Africa centrale che non in Europa, o dagli Inuit (che una volta venivano chiamati Eskimo). Queste diverse civiltà musicali in cui i neonati, prima della loro iniziazione alla musica, crescevano non esistono più; non siamo più nella situazione in cui si trovava ancora Webern, quando faceva i suoi corsi sulla musica moderna per adulti non musicisti e, per spiegare che cosa sia un motivo, citava un canto popolare Kommt ein Vogel geflogen. Oggi il canto popolare non vive più, così come tutte le culture musicali non vivono più: sono state liquidate dall'industria culturale, dalla dittatura dell'industria culturale. Dittatura sonora – emessa da tutti gli altoparlanti del mondo – dittatura visiva – televisione e tutte queste immagini – dittatura anche olfattiva; il tubo di scarico dell'auto – che non è soltanto un fenomeno acustico ma anche olfattivo, e il cui parossismo è l'idea anale della pernacchia – è il sommo tecnologico della realizzazione dell'idea della pernacchia. Questa dittatura dell'industria culturale è ubiquitaria, non c'è più mezzo di evitarla; si è usurpata tutti gli attributi che una volta appartenevano soltanto a Dio, cioè l'industria culturale è onnipresente, onnipotente e anche onnisciente; non esiste più nulla che l'industria culturale non sappia.
Non si può più insegnare la musica. Quel che c'è prima di ogni pensabile iniziazione alla musica è l'inferno, l'inferno reale sulla terra. Basta ascoltare un giovane, oggi, che usa la sua motocicletta non come mezzo di trasporto ma come mezzo di espressione – espressione teatrale e soprattutto musicale. Questa dittatura viene esercitata non da una centrale – non è mica centralizzata! – ma da tutti: dai dentisti che hanno nel loro studio la sonorizzazione, la musichetta; dai barbieri, dai baristi, ma anche dai senza tetto nei parchi, nei giardini pubblici: la radiolina ce l'hanno, e impongono ai passanti i prodotti dell'industria culturale. I senza tetto lo fanno come le compagnie aeree, le compagnie ferroviarie; la stazione centrale di Francoforte da due anni è sonorizzata. C'è continuamente questa dittatura della musica leggera – strano termine "musica leggera", per una cosa così grave, anzi gravissima. I supermercati, perfino le chiese... La prima chiesa sonorizzata [che ho incontrato] in vita mia, tanti anni fa, è la cattedrale di Strasburgo; [più recentemente], due anni fa, la sonorizzazione più terrificante [in cui mi sono imbattuto], in una chiesa, è quella della cattedrale di Toledo. Un bambino che nasce oggi non viene più socializzato musicalmente dalla ninna nanna, da un canto popolare – questi modelli a cui Webern poteva ancora riferirsi per un tentativo di iniziazione alla musica, nella sua conferenza a Vienna per adulti non musicisti – perché la socializzazione musicale, come la socializzazione tout court, oggi avviene tramite il televisore. "Television is the best babysitter", il televisore è la migliore bambinaia; non si affida più un bambino a una persona – la madre o altra persona – ma al televisore, che fa sì che questo bambino venga socializzato all'inferno esistente sulla terra. E come si pone, in questa situazione, il problema dell'iniziazione alla musica? La musica che vale – non la musichetta, la musica, diciamo, vera – è oggi negazione del mondo, della società esistente, dei costumi esistenti e del suono esistente.
Come si può iniziare una persona di qualsiasi età, che sia un bambino o un adulto, alla musica? La musica non si può più imparare, in queste condizioni, e l'iniziazione non può più essere un imparare qualcosa, ma un disimparare. Bisogna disimparare l'industria culturale e le sue conseguenze, disimparare cioè tutta la socializzazione ricevuta dalla prima infanzia. Questo comincia a diventare anche il problema dei compositori stessi, poiché i compositori giovani, delle nuove generazioni, hanno ricevuto la loro socializzazione tramite l'industria culturale. Disimpararla, è il primo compito per uno che, oggi, tenta di diventare compositore. Tutte le energie che i compositori delle generazioni precedenti potevano investire nell'imparare la musica e le sue tecniche, la sua storia, le sue raffinatezze, tutte queste energie, oggi, nel caso di un giovane compositore, vengono consumate nello sforzo di disimparare l'industria culturale. Questo è anche il caso del mio amico Dario. Lui appartiene già a questa nuova generazione di compositori il cui passato è un passato pop – e, se Dario Buccino è diventato un compositore, è stato disimparando la sua socializzazione musicale e perfino le sue facoltà tecniche sulla chitarra. Questo processo di disimparare è una cosa molto complessa, molto impegnativa, molto radicale. Ci sono magari non so quante tecniche possibili per disimparare l'industria culturale; nel caso di Dario Buccino mi sembra centrale il ricorso al proprio corpo.
Recentemente ho sentito una composizione di Dario per due pianisti, cioè per pianoforte a quattro mani[2], che è scritta in una notazione d'azione, non di risultato ma d'azione: una cosa che oggi occorre distinguere. Se Beethoven scriveva delle note, cosa esprimeva: delle azioni che l'esecutore deve compiere, o il risultato da ottenere? Ovviamente il risultato da ottenere. Se un compositore classico scrive un legato sul pianoforte, si deve sentire questo legato, ma l'azione per produrla è scelta dell'interprete, che sceglierà il mezzo più adeguato; può eseguire il legato digitalmente, o col pedale, non importa: l'importante è il risultato. (Oh, mi è scappata una parola: "digitalmente". Devo avvertirvi che queste parole alla moda, come il digitale, il virtuale, eccetera... Le uso nell'antico modo. Cioè se dico digitale, intendo digitus, le dita. Se virtuale, viene da virtus.) Una scrittura opposta a quella del risultato è la scrittura d'azione, che codifica il modo di agire e lascia più o meno aperto il risultato. C'è tutta una tradizione nel ventesimo secolo di scritture d'azione; la musica sperimentale nel senso stretto – cioè se si considera come esperimento una cosa il cui esito non è conosciuto da prima – definisce per forza un insieme di azioni e non risultati, perché se il risultato è fissato non si tratta più di esperimento. Ho citato questa composizione per due pianisti, perché questi pianisti non agiscono soltanto sul pianoforte, ma anche su se stessi, uno sull'altro, e l'azione pluridimensionale, pluriparametrale, è spinta a un punto tale che perfino il respiro, che nel pianoforte, diversamente dal canto, normalmente non conta, invece qui conta, ed è anche composto. Dunque il ricorso al proprio corpo mi sembra centrale, nel lavoro di Dario Buccino, come modo di scappare, di negare l'industria culturale con le sue astrazioni.
Buccino è essenzialmente autodidatta. E probabilmente, ma questo non lo so empiricamente, non ne abbiamo mai parlato...: non so se tu sei molto familiarizzato con un certo tipo di musica di Schnebel...
BUCCINO: Non moltissimo.
METZGER: Sì, lo pensavo! E qui siamo a un punto molto interessante: quella che io chiamo la tradizione oggettiva. Dieter Schnebel ha sviluppato dagli anni Cinquanta in poi – si tratta di una tendenza, non tutta la sua musica appartiene a questa tendenza, ma è una delle direzioni del suo lavoro – quella che chiama Organkomposition, cioè composizione per organo; non per lo strumento con tastiera e pedali, ma per gli organi del corpo fisico, per esempio il respiro, e tutti gli organi... Schnebel è arrivato a scrivere musica muta, cioè musica silenziosa, soltanto con i movimenti del corpo, delle membra. Körper-Sprache: è un pezzo relativamente recente di Schnebel; non è un balletto, è musica, musica silenziosa eseguita con il proprio corpo.
FEDERICO INCARDONA: Maestro, posso?
METZGER: Sì...
INCARDONA: Ti ricordi qualche anno fa quando tu, ascoltando la messa di Schnebel, sei andato in un'altra stanza...
METZGER: Ma non parlavo della messa.
INCARDONA: ...e stavi molto male....
METZGER: La messa è un fallimento!
INCARDONA: ...[stavi male] perché parlavi di un tradimento terribile...
METZGER: La messa di Schnebel è un fallimento!
INCARDONA: No, tu parlavi di tradimento, di tradimento linguistico, che per te credo che sia la cosa più importante.
METZGER: Sì, sì, sì... Ma non ha niente a che fare con queste composizioni per organi del corpo. Tutt'altro discorso. Stavo spiegando ciò che io chiamo le condizioni obiettive, cioè la tradizione... Anche questa è una nozione hegeliana, lo spirito obiettivo: anche se i soggetti non conoscono la tradizione in cui si trovano, obiettivamente queste tradizioni funzionano. Per esempio, il mio modello favorito per spiegare che cosa sia tutto ciò, è il rapporto Bruckner, Mahler, Ives, Cage. Mahler conosceva evidentemente la musica di Bruckner, e qui siamo nella tradizione anche soggettiva; ma Ives conosceva pochissimo Mahler, e lo continuava in un certo modo, un certo aspetto di Mahler...che poi continuava fino a Cage, vale a dire la scomposizione del discorso musicale. Cioè gli attori storici non sanno necessariamente in che tradizione operano; e Dario opera, secondo me, molto nella tradizione di Schnebel. Il fatto interessante è che penso che conosci poco Dieter Schnebel, sì?
BUCCINO: Sì.
METZGER: E probabilmente niente delle sue teorizzazioni.
BUCCINO: Meno...
METZGER: Sì, ecco.
Per iniziare i bambini alla musica oggi, non si può evidentemente – sarebbe una logica non funzionante – non si può dire: "voi siete nelle mani del diavolo. Abiurate. Separatevi da Satana. Bruciate quel che avete adorato e adorate quel che avete bruciato". Non si può insegnare così la musica ai bambini. Probabilmente non si può neanche insegnare così la religione... La musica no! Il modo, l'unico modo possibile per la salvezza, è la seduzione. Sedurre i bambini ad altro. E queste composizioni per bambini di Dario Buccino – con l'eccezione grave del, come si chiama?, Alé o-oo [ride sottovoce, risata collettiva], ma è un altro discorso su cui mi soffermerò magari ancora un momento...
PAOLO EMILIO CARAPEZZA: Infatti è l'unica che non è riuscita! [Risata collettiva]
METZGER: [Ride]... Le altre cose, gli altri metodi, le altre tecniche per sedurre i bambini ad attività fuori dall'industria culturale, lavorano semplicemente con lo scegliere materiali e azioni che tradizionalmente non vengono considerate musicali e che non vengono ammessi dall'industria culturale come musicali. Perché ormai siamo arrivati a un punto ove soltanto quella musica che non è più musica è ancora musica; invece la musica che è ancora musica non è più musica. Le cose stanno dialetticamente così, ormai. E io rimprovero all'Alé o-oo che sia musica. È un comportamento non fuori, ma dentro l'industria culturale. Il décalage, come si dice, lo sfasamento, penso che non basti più come negazione del falso concetto di musica, della musica "musicale". Quando l'hai fatto con i bambini, l'esperienza non era per me ancora concludente, perché il canone non è veramente avvenuto con i bambini; invece oggi sì. È una cosa un po' strana, perché con queste due velocità e due intonazioni è come la trasposizione di una tecnica di nastro, quando si hanno dei magnetofoni con velocità controllabili...
CARAPEZZA: Con riduzione di velocità.
METZGER: Sì... Si può ridurre un po' la velocità e allo stesso tempo si abbassa anche l'intonazione, allora questo canone risulta. Farlo con degli esseri viventi è una cosa delicata naturalmente, non funzionerà mai perfettamente; e secondo me non dovrebbe neanche funzionare. Qui c'è il pericolo di regredire nella riflessione della negazione nel negato. Ma basta, volevo soltanto fare questa osservazione.
Per il resto, ad eccezione fatta per l'Alé o-oo, io riconosco a questi esperimenti didattici quel che Adorno chiamava il carattere conoscitivo dell'opera d'arte. Una cosa ormai difficile da spiegare. Quando si parla di carattere conoscitivo nell'opera d'arte, i non hegeliani – e quasi tutti sono oggi non hegeliani – dicono: "ma cosa si conosce tramite l'opera d'arte?" O, "se l'opera d'arte è conoscenza, qual'è la cosa che l'opera d'arte conosce?" In uno dei momenti centrali della filosofia della nuova musica, Adorno ha spiegato questo carattere conoscitivo dell'opera d'arte nel modo seguente: l'opera d'arte è un giudizio. Non si tratta del problema del giudizio estetico sull'opera d'arte, non è importante, ma al contrario: l'opera d'arte è un giudizio, un giudizio tramite la forma estetica, un giudizio sul male; è la forma estetica come negazione del male, come condanna del male. In italiano la cosa diventa un po' unidimensionale, perché in tedesco ci sono due termini per il male, schlecht e böse: das böse nel senso morale, e soltanto morale, das schlecht invece nel senso più ampio, che può essere morale ma anche tecnico, quindi universale... Cioè lo schlecht è più specificamente universale (è un paradosso: "specificamente universale") che il male in italiano, che è anche universale ma [principalmente morale]. Dunque la condanna del male, cioè la condanna diciamo della cattiva musica, tramite esperimenti così semplici, può... Esercizi di iniziazione come quelli di Dario, naturalmente, devono per forza essere alla portata di tutti, se no non si tratta più di iniziazione.
Io sono alla fine del mio discorso, e ripeto ancora una volta la mia frase centrale: oggi è musica soltanto quello che non è più musica, invece la musica che è ancora musica non è più musica. Sta tutto qui. Per il momento non ho altro da dire. Possiamo discutere.
© 1997 Heinz-Klaus Metzger
Trascrizione dalla registrazione audio originale.
Per concessione dell'Università degli Studi di Palermo, ex Dipartimento di Storia della Musica.
Note
1. ^ L'intervento di Heinz-Klaus Metzger segue una dimostrazione pratica di lavoro effettuata da Dario Buccino con il pubblico della conferenza, composto da studenti e docenti della facoltà universitaria. La conferenza a sua volta è stata preceduta da due mattinate di lavoro (19–20 dicembre 1997) svolte con gli alunni della Scuola Elementare "G. Verdi" di Palermo, basate sulla raccolta Dodici composizioni per bambini di Buccino e condotte dall'autore in presenza di Metzger. [Torna al testo]
2. ^ Si riferisce a Sempre più ampio il mio sguardo fisso alla morte per due pianisti (un interprete), eseguito da Sonia Briant e Claudio Santambrogio in occasione della presentazione del Sistema HN presso i "Ferienkurse für Neue Musik" di Darmstadt, nel 1994. [Torna al testo]