A un certo punto della mia vita ho sentito il bisogno di definire un modo di creare musica (uno stile operativo, prima ancora che uno stile estetico) che mi permettesse di organizzare compositivamente, fin dalla pagina scritta, non solo i fatti sonori, ma anche l'intensità esperienziale(*) con cui affrontarli – o, meglio, generarli – nel momento dell'esecuzione.
La mia immaginazione musicale tende a procedere non per creazione di immagini sonore, ma per creazione di unità irriducibili di immagini sonore e immagini performative.
Non mi interessa il fatto acustico in sé. Non mi interessa l'atto esecutivo in sé(**). Mi interessano le dinamiche della loro relazione. E queste dinamiche, a loro volta, non mi interessano in sé, ma nella loro possibilità di accendere nell'ascoltatore (e nell'esecutore stesso) una palpabile sensazione di esserci – qui e ora – e una sottile e profonda risonanza affettiva.
L'unione solidale di atto esecutivo, fatto sonoro, percezione di esserci, risonanza affettiva, costituisce quella che chiamo un'immagine esperienziale.
Per organizzare compositivamente tali immagini esperienziali, mi occorreva innanzitutto definire una sintesi grafica delle idee che non si concentrasse esclusivamente sulla loro forma udibile. Il sistema di notazione, che ho messo a punto in risposta a quest'esigenza, costituisce il cardine metodologico di quello che ho chiamato Sistema HN™(***), piattaforma pratica per l'articolazione della mia fantasia compositiva e del mio rapporto con l'interprete.
Rapporto che consiste in questo:
più che consegnare all'interprete la richiesta di produrre un determinato suono, io consegno all'interprete la richiesta di attuare un processo fisico – ovverosìa, di compiere un'azione fisica e di compierla in un certo modo, secondo parametri espressi in simboli grafici nella partitura.
In verità, la richiesta di produrre un suono ben preciso viene fatta, eccome, all'interprete! Ma i dettagli di questa richiesta si concentrano più sull'atto corporeo che non sull'esito sonoro.
I dettagli sono talvolta numerosi, capillari, invasivi... Talvolta, invece, la partitura veicola solo pochi segni, che riassumono un lavoro pratico condotto direttamente con l'interprete. Lavoro pratico che costituisce sempre un momento strutturale del mio modus operandi, e che ha a che fare tanto con gli aspetti strettamente corporali dell'azione, quanto con gli aspetti sottili, legati alla percezione che l'interprete ha del proprio stesso agire, nel qui e ora dell'esecuzione.
HN infatti è l'acronimo di Hic et Nunc, ovvero: qui e ora.
Giungo effettivamente a un controllo meticoloso del fatto sonoro, perché mi intrometto radicalmente nella sua emissione e nella sua articolazione. Ma in realtà: lo scopo è quello di arrivare a controllare... Anzi, più che a controllare, a interferire con l'intensità esperienziale dell'atto esecutivo dell'interprete – nel tentativo di provocarne la massima accensione.
Questa accensione è a sua volta il veicolo per tentare di provocare – tramite un processo di contagio esperienziale – la massima accensione dell'intensità dell'atto ricettivo dell'ascoltatore.
Certo, però: non sempre – non necessariamente – un fatto sonoro, vissuto con grande intensità da chi lo produce, viene vissuto con grande intensità da chi lo ascolta.
I fattori decisivi affinché il contagio avvenga sono vicini all'imponderabile.
La partita si gioca fin dai momenti più concreti dell'invenzione compositiva. Dal momento dell'ideazione di questo o quel fatto sonoro, di questa o quell'azione fisica... Per dirla con insindacabile esattezza: occorre ideare azioni e suoni davvero belli, cioè che sprigionino già da sé una tale forza, da dettare al compositore le forme di cui hanno bisogno per splendere al massimo (o da soddisfare totalmente esigenze formali e concettuali nate prima della loro ideazione), da accendere l'entusiasmo performativo nell'esecutore e, infine, da sedurre l'attenzione sensuale ed emotiva dell'ascoltatore.
Determinante, poi, è una sorta di slancio proiettivo dell'interprete, la sua capacità di non rimanere impigliato nel dato corporeo che dà vita reale al fatto sonoro... (La messa a punto di quest'abilità è uno dei punti focali del mio lavoro con l'interprete).
Determinanti sono anche le circostanze sceniche (o antisceniche, che è la stessa cosa) in cui avviene la performance. Raramente, per esempio, utilizzo un vero e proprio palcoscenico. E, per fare un altro esempio, lavoro spesso nel buio quasi completo, per scoraggiare la tendenza letteralizzante e banalizzante ("...ah, ecco cosa sta facendo!") della percezione visiva.
Decisivo è, infine, il momento esatto in cui ogni fatto sonoro avviene, ovvero ciò che precede, ciò che segue e ciò che avviene simultaneamente a ciascun fatto: questa o quest'altra successione, questa o quest'altra sovrapposizione o non sovrapposizione polifonica di eventi udibili, provoca l'emersione di questa o quest'altra specifica e precisa carica simbolica.
Ed è esattamente quest'ultima a costituire l'intensità dell'esperienza ascoltuale.
Con specifica e precisa non intendo dire che la carica simbolica debba essere riconducibile a uno specifico e preciso significato, un significato circoscrivibile e spiegabile... Sarebbe poca cosa.
La carica simbolica di un ordigno estetico è la sua capacità di far esplodere significato. Catene di esplosioni di significato. Tanto più cruciali quanto più incontrollabili, senza fondo (come due specchi posti uno di fronte all'altro), irrisolvibili da un atto spiegatorio.
In ultima analisi, quindi: la messa a punto parametrica e, poi, la riuscita performativa di ciascun atto esecutivo sono importanti. Ma altrettanto importante è l'organizzazione compositiva dell'intero ordigno, la distribuzione spaziale e temporale della carica esplosiva.
Questo è il mio attentato ipnotico a favore dell'ascoltatore.
Note
(*) Intensità esperienziale, non necessariamente intensità espressiva.
L'intensità esperienziale (ovvero l'intenso esserci dell'interprete: il bruciante essere presente alla propria e altrui azione performativa, all'accadere del suono, alla concentrazione ricettiva degli ascoltatori, a tutto ciò che accade qui e ora...) può accendersi di una pressione emotiva estroversa che le conferisca i toni dell'intensità es-pressiva, ma può anche bruciare all'indentro di intensità im-pressiva, o assumere entrambe le forme, in equilibrio indefinibile e variabile, o caratterizzarsi per infinite altre forme di intensità che sarebbe più impossibile che futile classificare.
(**) Non si tratta di musica gestuale!
Dell'azione fisica non mi interessa l'evidenza. Mi interessa l'intensità.
Non cerco, quindi, il suono che mi riveli quale azione fisica lo ha generato (un rutto banale sarebbe perfetto allo scopo), cerco il suono che, di quell'azione, mi riveli l'intensità (estroversa o introversa che sia).
Alle volte, anzi, è proprio nascondendola bene nelle segrete del suono, che l'azione rivela al meglio la propria forza interna. Per nascondere l'azione nelle profondità del suono, occorre che il suono sia dotato, già in sé, di una propria profonda intensità magnetica, intensità che vada al di là o, meglio, che splenda al di qua dell'azione che lo mette in essere.
Altre volte, certo, questo criptamento non pare necessario...
Altre volte ancora è proprio denudando completamente l'azione, rivelandola interamente nel suono (l'urlo è l'esempio più lampante), che l'azione si leva paradossalmente di mezzo lasciando che sia la pura intensità (quando c'è – non tutti gli urli sono intensi!) a imporsi all'attenzione ascoltuale.
(***) L'ideazione del Sistema HN risale ai primi anni '90. Il suo nome compare alcuni anni dopo. Il sistema è in perpetua trasformazione, accompagnando le trasformazioni delle mie esigenze compositive.
Copyright © 2006 Dario Buccino
Photo © Marina Luzzoli